Luciano Canfora e Quando i libri erano rari e cari

Quando, nel 2009 Luciano Canfora mi comunicò che intendeva dare a questa lectio magistralis il titolo “Quando i libri erano rari e cari ho istintivamente pensato: Oddìo, non vorrà mica intendere che la crisi economica ha colpito così duramente il mercato del libro antico da far crollare la richiesta e i prezzi … Fortunatamente il sottotitolo recitava Alfabetismo e circolazione libraria nelle società antiche, e mi sono tranquillizzato, certo che il sommo filologo ci regalerà – come già l’anno scorso con Il ritorno dei Greci – una dotta ma allo stesso tempo vivace conferenza sul commercio dei manoscritti nel mondo classico, e dei primi libri a stampa. Devo dire che l’antiquariato librario non sta patendo troppo la crisi, perché i bibliofili sono supportati da una tale passione per il libro antico, che piuttosto fanno economia su altri beni, ma non rinunciano ad incrementare la propria raccolta. Fino al 1450, i manoscritti erano fruibili soltanto da ristrettissima cerchia di religiosi e dotti, di re e cortigiani… L’invenzione della stampa costituì, fino a quell’epoca, la più importante rivoluzione democratica, offrendo la possibilità della libera circolazione delle idee e, per un pubblico più grande, di acculturarsi. Dopo che Gutenberg stampò la sua Bibbia delle 42 linee si verificò una rivoluzione paragonabile a quella provocata oggi da Internet, una democratizzazione della cultura senza precedenti. Pensiamo ad esempio all'importanza del primo libro stampato a Bologna – attorno al 1471 dall’Azzoguidi - o in una qualsiasi altra città, e, alle implicazioni socio-culturali che l'introduzione della stampa può avere avuto soprattutto in località isolate o valli montane dove l'analfabetismo era all'epoca quasi totale. Internet non solo ci offre una moltitudine di informazioni e di fonti – che restano comunque da verificare - ma anche nel commercio librario, la proposta on line di un grandissimo numero di titoli antichi o esauriti ha prodotto una maggiore trasparenza rispetto al passato Leggendo con regolarità i cataloghi di noi antiquari, ci si può accorgere che spesso le nostre schede terminavano con l’affermazione edizione rara, oppure introvabile. Fino a qualche anno fa il lettore più smaliziato poteva giustamente domandarsi: in che modo si può oggettivamente dimostrare che tali affermazioni fosse vera per quel particolare titolo? Ora, se sui vari motori di ricerca quel dato libro è offerto in 5 o 10 esemplari, vuol dire che proprio raro in fondo non lo è. Un catalogo cartaceo, vuole rappresentare invece la prova tangibile di quello che è il lavoro quotidiano dei librai; il catalogo resta ancora oggi un formidabile strumento di cultura, in grado di suscitare curiosità anche non solo nel bibliofilo ma anche in un semplice lettore. Se infatti un motore di ricerca di Internet ci consente oggi di scovare, presso un libraio sconosciuto, un titolo che cercavamo da anni, un catalogo ci permette di venire a conoscenza di libri di cui non immaginavamo neppure l’esistenza. Se mi permettete, è una sorta di prova di una delle teorie di Kant: non è l'esistenza a determinare la conoscenza di qualche cosa, come sostenevano gli empiristi, bensì la conoscenza a determinarne l'esistenza… quel libro antico viene ad esistere per me, soltanto nel preciso momento in cui vengo a sapere tramite la lettura di un catalogo che, secoli fa, qualcuno l’ha scritto e pubblicato. Per produrre un libro a stampa, a differenza del manoscritto, serviva più di una persona e soldi per finanziare tutto il processo, come quelli destinati a comprare la carta per le copie, cioè il 50% del costo totale. Inoltre lo stampatore doveva conoscere l’argomento che veniva stampato, doveva saper vendere il libro, distribuendolo al di là della sua cerchia. Quindi per stampare un libro ci voleva una collaborazione fra individui di vari ambienti sociali: il tecnico, i finanziatori, almeno tre o quattro persone all’interno dell’officina stessa; infatti c’era un compositore che preparava la forma bloccata e inchiostrata da mettere sotto il torchio, altre due persone manovravano quest’ultimo. Una delle maggiori difficoltà , e causa di costi, per gli editori 400eschi era il reperimento dei codici da cui copiare i testi. Nonché il tentativo di convincere il pubblico agiato a non disprezzare il fatto che il libro a stampa era un multiplo. I primi libri a stampa imitavano i manoscritti, quindi incunaboli su pergamena, con miniature e titoli dei capi aggiunti a mano, Il libro, una volta stampato, veniva venduto dai cartolai insieme ai manoscritti. Un esempio unico per quell’epoca fu quello di Vespasiano da Bisticci, uno dei più famosi cartolai italiani, che vendeva manoscritti anche ai Medici, e che poi si rifiutò di vendere libri a stampa e quindi dopo pochi anni fu costretto a chiudere. Molti altri, invece, cambiarono da scribi a stampatori oppure andarono a Venezia per lavorare come decoratori dei libri a stampa; infatti il lettore voleva le stesse decorazioni dei manoscritti. A partire dal 1480 ci si rese conto che non era più vantaggioso finire i libri a mano e quindi si cominciò a inserire le iniziali a stampa (xilografia), iniziali in legno che si inseriscono nella forma di stampa; in seguito furono introdotti anche due inchiostri (rosso e nero), Ad esempio, il prezzo di uno dei volumi Aristotele Aldo, capolavoro in 5 volumi tra il 1495 e 98, corrispondeva al salario annuale di un maggiordomo di casa nobile, quindi possiamo ipotizzare che un ponderoso libro nuovo all’epoca costasse oltre 30mila euro. Questo malgrado il fatto che tra il 1455-1500 si stamparono circa 20 milioni di volumi (cioè totale di esemplari di ogni singola edizione) e considerando che l’Europa contava soltanto 100 milioni abitanti, di cui non più di 3milioni alfabetizzati - quindi 6 libri per lettore. E' come se ora nel mondo in 40 anni si stampassero 6 x 5 miliardi (alfabetizzati) = 30 Miliardi di volumi. in 40 anni. Considerando che nel mondo attualmente si stampa circa un milione300mila edizioni, per un totale di circa 7miliardi di esemplari e quindi in 40 anni circa 300miliardi, è un dato rilevantissimo per stampa alle sue origini. La lettura aveniva soltanto ad alta voce. A tal proposito è significativo un passo dalle Confessioni in cui Agostino – che era Sant’Agostino… - si meraviglia profondamente che Sant’Ambrogio fosse capace di leggesse “solo con gli occhi”, silenziosamente in pubblico, e siamo nel IV-V secolo dopo Cristo. Nell’antichità classica greca e latina un autore non scrivesse mai i testi di propria mano ma li dettasse ad un segretario - l’uso di scrivere un testo di propria mano è, infatti, proprio dell’età bizantina, almeno a partire da Eustazio di Tessalonica. Secondo A. Ernout l’uso del dettato era così frequente nel mondo classico che il verbo dictare avrebbe subito uno slittamento dall’originario significato di “dettare” a quello di “comporre”; ad avvalorare tale ipotesi il tedesco dichten. Nell’antichità classica non tutti i testi compilati da un autore erano destinati alla pubblicazione. Giamblico nella Vita pitagorica riferisce che i pitagorici distinguevano due categorie di scritti: la prima costituita da appunti e note per pochi adepti, l’altra per la pubblicazione Ciò significa che gli scritti definiti ipomnematici non erano rivisti dall’autore, ma per via della loro stesura ancora imperfetta, avevano una circolazione limitata. Modalità con le quali un libro era pubblicato. Il termine greco per indicare la pubblicazione è ekdosis (editio in latino); nonostante gli scritti ipomnematici, un autore quando scriveva un libro lo faceva senz’altro in vista della pubblicazione. La messa in circolazione dei libri comportava una revisione minuziosa del testo, dall’altro, alcuni rischi. In Plinio il Giovane, poi, le correzioni diventano una mania; Plinio sosteneva che «il timore è il più severo dei correttori. Il solo fatto di pensare che faremo una pubblica lettura ci corregge” La pubblicazione di un libro, inoltre, necessitava dei servizi di un editore; Cicerone, ad esempio, aveva la fortuna di avere come editore l’amico Attico che possedeva sul Quirinale una vera e propria officina editoriale famosa per l’elevata qualità dei prodotti. La “vita” di un libro dopo la pubblicazione (e, quindi, della relativa questione dei diritti di autore) Avvenuta la pubblicazione (ekdosis) era il momento della sua diffusione e circolazione (diadosis). Per limitare il rischio di piraterie editoriali, i libri di Platone non erano disponibili nelle librerie. Nel mondo antico frequente era pure la possibilità di seconde edizioni; è il caso delle Nuvole di Aristofane, degli Academici libri di Cicerone. Emblematico, poi, è il caso dell’Adversus Marcionem di Tertulliano che raggiunse addirittura la terza edizione.

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