L'importanza del catalogo cartaceo per la figura del libraio
Il catalogo di un libraio antiquario deve rappresentare soprattutto la prova tangibile di quello che è il nostro lavoro quotidiano sull’oggetto-libro: uno studio approfondito del testo, dell’edizione e dell’esemplare, che prescinde dalle implicazioni strettamente commerciali. Un qualsiasi catalogo di vendita di un libraio antiquario costituisce comunque un formidabile strumento di cultura, in grado di suscitare curiosità non solo nel bibliofilo ma anche in un semplice lettore, ed, in questo periodo di diffusione dei supporti informatici, vorrei che fosse attribuito un giusto riconoscimento alla funzione culturale da noi svolta. La figura del mercante è infatti spesso vista con una certa diffidenza, ma è indubbio che, nei secoli, i librai hanno avuto un ruolo fondamentale nella conservazione dei manoscritti e dei libri: hanno contribuito a salvare dall’oblìo e dalla deperibilità migliaia di volumi, grazie alle loro ricerche ed ai restauri commissionati; a diffondere la cultura e l’arte italiana nel mondo ed a reimportare in Italia tesori grandi e piccoli; ed hanno avuto un ruolo primario nella formazione di importanti raccolte private di studiosi e di collezionisti, prima smembrandole e poi ricostituendole in forma diversa; nonché nell’arricchimento delle formidabili biblioteche pubbliche di cui è ricco il nostro paese. Ritengo che le centinaia di cataloghi che i librai dell’ALAI pubblicano ogni anno contribuiscano a lasciare una traccia documentale di grande valore per studiosi, collezionisti e bibliotecari. Per redigere in maniera adeguata un catalogo ci vuole una quantità esagerata di tempo, nonché una certa cultura, costanza, capacità di utilizzare i supporti bibliografici e di documentare le caratteristiche tipografiche delle edizioni antiche; ed ora anche la capacità di utilizzare i programmi di grafica e di impaginazione per rendere l’offerta più accattivante. Quando iniziai la mia avventura nell’antiquariato librario – e non parliamo della preistoria – i computer e gli scanner non si potevano neppure ipotizzare: i testi, dattiloscritti con i grassetti o i corsivi evidenziati a matita rossa o blu, venivano composti dal tipografo con la linotype; le illustrazioni erano riprodotte su cliché di zinco applicati su spessi blocchi di legno per essere inseriti nelle forme tipografiche. Confrontando le descrizioni pubblicate in un bel catalogo con la schedatura che si riserva ad un libro per un’offerta su internet, non si può non notare come questa sia meno accurata e precisa anche dal punto di vista grafico, proprio per le caratteristiche effimere che comporta. La rivoluzione provocata oggi da Internet, è paragonabile soltanto all’invenzione della stampa, che quasi sei secoli orsono offrì al mondo una democratizzazione della cultura senza precedenti. Internet non solo sta cambiando la vita, offrendoci una moltitudine di informazioni e di fonti, la cui attendibilità è comunque da verificare, ma sta radicalmente cambiando anche il commercio librario: la proposta on-line di un grandissimo numero di titoli antichi o esauriti ha senza dubbio prodotto una maggiore trasparenza rispetto al passato. Leggendo i cataloghi antiquari di qualche anno fa, ci si può accorgere che spesso le nostre schede terminavano con l’affermazione “edizione rara”, oppure “introvabile”. Era più che legittimo domandarsi in che modo dimostrare che tale affermazione fosse oggettiva: l’unico modo poteva essere l’individuazione dell’indice di rarità di un edizione, che si misura nel rapporto tra l’ampiezza della tiratura iniziale e il numero di copie superstiti. Ora è assai più agevole: se nei vari motori di ricerca si trovano soltanto uno o due esemplari di quel dato libro, la sua definizione di rarità è oggettiva; qualora sia proposto in 5 o 10 esemplari, vuol dire che proprio raro in fondo non lo è. Ma l’opportunità di sfogliare un catalogo cartaceo ben fatto è una sensazione non paragonabile alla digitazione di un titolo su un motore di ricerca: le orecchiette che posso fare per ricordarmi di un lotto interessante, le sottolineature per una collazione particolare, lo stesso odore della carta. Se interrogare Internet mi consente oggi di scovare, presso un libraio sconosciuto di un altro continente, un titolo che cercavo da anni, la compulsazione di un catalogo mi consente tuttora di venire a conoscenza di libri di cui non immaginavo neppure l’esistenza. Se mi si permette il paragone, è una sorta di prova della teoria Kantiana della conoscenza: “non è l'esistenza a determinare la conoscenza di qualche cosa”, come sostenevano gli empiristi, bensì “la conoscenza a determinarne l'esistenza”: quel libro antico viene ad esistere – per me – soltanto nel preciso momento in cui leggo su un catalogo che, secoli fa, qualcuno l’ha scritto e pubblicato. Infatti un volume antico è, per definizione, un oggetto difficile da esporre: il catalogo è a mio parere una vera e propria vetrina del libraio antiquario, che ne esprime le conoscenze, le capacità e la serietà. Oltre a costituire una garanzia per il cliente, che ha il diritto di conoscere con precisione le ragioni per cui quel determinato esemplare dovrebbe valere cento o mille euro, perché è una edizione originale, oppure perché la ristampa è stata curata da un qualche autorevole critico, o perché è in legatura originale o brossura editoriale, o ancora perché è stata annotata o dedicata dall’autore. Ritengo che l’insieme dei cataloghi di una libreria costituisca un vero e proprio testamento spirituale del libraio, la storia della sua vita, di come ha saputo – citando Montroni - “vendere l’anima”. È un peccato ad esempio, che un grande libraio italiano recentemente scomparso non abbia mai pubblicato nulla, perché le sue notevoli conoscenze bibliografiche, le sue scoperte, sono rimaste un fatto privato tra lui e l’acquirente di quel libro. Ma, allo stesso tempo, la mancata condivisione dell’informazione con i bibliografi ed i colleghi, non ha neppure consentito di verificare la veridicità delle affermazioni di quel libraio. Il libro è per sua definizione un multiplo, quindi la pubblicazione di una informazione bibliografica, una collazione particolare, una scoperta inedita può e deve essere utile al confronto con altri esemplari. Il catalogo rappresenta inoltre per me un alibi, che mi rende meno doloroso il distacco da quei libri che amo particolarmente, e sono costretto a vendere per poterne acquisire degli altri. Averne fatto uno studio, ed averne pubblicato la descrizione su uno dei miei cataloghi, fa sì che quel determinato esemplare, con quella legatura, con quelle note di possesso, quelle gore d’acqua e quei tarli, resti comunque per sempre anche un po’ mio, indipendentemente dai passaggi di proprietà che potrà fare in futuro. Mio nonno pubblicò il primo catalogo quasi novant'anni fa: il libro più caro, un incunabolo figurato, era prezzato ben 650 lire. Quel listino dimesso del 1921 è tuttora per me un talismano, una sorta di monetina Numero Uno di Paperone. Il libraio non smette di essere tale quando la sera chiude la sua bottega: il tempo del suo lavoro è la sua stessa vita, con l'abitudine alla ricerca bibliografica, alla conservazione del libro, alla rivalutazione di quanto ancora è poco noto o dimenticato, con una passione che va ben oltre il valore economico dell'oggetto. Insomma, come l’amico Alessandro Bergonzoni anche noi librai antiquari siamo favorevoli agli interventi di chirurgia etica, piuttosto che estetica e siamo certi che la lettura di un di un bel catalogo d’antiquariato sia per tutti un’ottima occasione per rifarsi il senno !
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