Le Collezioni personali e le Traduzioni
Alcuni librai sono anche collezionisti, e noi non facciamo eccezione: Arturo ha nei decenni messo da parte alcuni libri italiani di grande significato – da svariati figurati antichi ad una raccolta completa delle edizioni originali di Leopardi, della quale è gelosissimo – ed un buon numero di princeps della letteratura italiana del Cinquecento, in esemplari particolarmente scelti. Umberto ha raccolto una buona selezione di primi volgarizzamenti di testi classici, ed un gran numero di prime traduzioni dei capolavori della letteratura inglese e francese moderna: spaziando dunque da Virgilio a Kafka, passando per Sant’Agostino e Cartesio e qualche esempio di prime traduzioni straniere di significative opere italiane (da Tasso a Manzoni in francese, sino a Pinocchio in russo). Riteniamo finora trascurata l’importanza attribuita alla traduzione nei secoli: per la prima volta un’opera poteva essere letta e compresa non solo da un ristretto pubblico colto, ma anche dal volgo. Si può dire che la traduzione sia una forma di scrittura: come la narrazione, il saggio, la poesia. La sua storia non può essere scissa da quella delle lingue, delle culture, e degli eventi politici: “Ogni civiltà nasce da una traduzione” scrisse Folena ed in effetti la letteratura latina si è costituita grazie alle traduzioni dal greco, il tedesco moderno deve molto alla traduzione luterana della Bibbia. Non è facile individuare quale sia la prime traduzione di un’opera, in quanto le bibliografie sono tanto scarse quanto incomplete. La loro rarità spesso impedisce di stabilirne con certezza il nome del traduttore e persino la data. A questo proposito, ci piace ricordare che qualche anno fa da un acquisto di modesti libri per l’infanzia, venne fuori un volumetto in-ottavo, in una povera cartonatura, il cui frontespizio, privo del nome dell’autore e del traduttore, riportava: “Racconti delle Fate. Tradotti dal francese nell’italiano / In Venezia, MDCCXXVII, presso Sebastiano Coleti”. La sua scoperta ha rivoluzionato la storia delle traduzioni del capolavoro di Perrault, “Histoires ou Contes du temps passé”, pubblicate nel 1697. La bibliografia di Rouger (1967), segnala come prima traduzione mondiale quella inglese del 1729, mentre identifica come prima italiana quella di A. Mercurio del 1752. Quindi, questa del 1727 non solo è la vera prima traduzione italiana, ma addirittura, evento raro nella letteratura del nostro paese, la prima in qualsiasi lingua. Se ci si permette il paradosso, è questa una sorta di prova della teoria Kantiana della conoscenza: “non è l’esistenza a determinare la conoscenza” di un qualcosa, bensì “la conoscenza a determinarne l’esistenza”: un determinato libro antico viene ad esistere soltanto nel preciso momento in cui un libraio lo scova e ne rende pubblica la scoperta bibliografica. Apparentemente nessun esemplare di questa edizione è conservato in biblioteche italiane né francesi, a causa dell’estrema deperibilità di un libro dato in lettura ai bambini. Così, un tassello si è aggiunto alla storia di questa cenerentola editoriale che, scoperta dopo scoperta, prende le sembianze di una principessa. Emblematico dell’ingenuità del traduttore è Il Picciolo Galinello, diventato celebre in tempi moderni come Pollicino. La traduzione in “piccolo gallo” si deve ad un’errata traslitterazione dell’anonimo traduttore, che ha frainteso il termine Poucet (Pollice) per Poulet. Lo studio di questa collezione di traduzioni - che diventerà fra alcuni anni un nuovo catalogo monografico - consentirà anche di porre l’attenzione sui traduttori, spesso oscuri ma a volte famosi, come coloro che ci hanno fatto conoscere la letteratura americana, come Fernanda Pivano per Lee Masters, Fitzgerald e Hemingway o Cesare Pavese con Melville, ma anche con Walt Disney: se nel 1932 Frassinelli pubblicò Moby Dick, poco noto è infatti che l’anno dopo Franco Antonicelli curò per lo stesso editore la prima uscita assoluta di Topolino (Storielle e illustrazioni dello Studio di Walter Disney, n. 1). Da notare che, data la frivolezza dell’edizione, Pavese non volle che il suo nome comparisse, mentre Antonicelli si firmò con lo pseudonimo di “Antony”. Sarà anche possibile identificare curiose vicende editoriali (ad esempio la prima traduzione spagnola di Pinocchio vide la luce a Bogotà, e non in Spagna) oppure varianti nei titoli, come nel caso di Salinger: la prima versione italiana di The catcher in the rye è quella di Jacopo Darca del 1952, intitolata Vita da uomo. Soltanto nove anni dopo, con la traduzione di Adriana Motta ed il nuovo titolo Il giovane Holden trovò la giusta considerazione. L’unica versione corrispondente ai costumi italiani dell’intraducibile titolo inglese sarebbe stato “Il terzino nella grappa”, ossia il ruolo che Holden sente di dovere assumere per difendere i giovani da una società in cui non si riconosce.